La domanda, seppur possa sembrare retorica, è una delle più complesse possibili: quale futuro per l’automobile? Quale futuro per la mobilità? E come, di conseguenza, potranno cambiare le nostre città, le nostre economie, i nostri stili di vita?
Spostarsi è sempre stata una fra le primarie esigenze dell’umanità. La capacità di spostarsi, di spostare merci e materiali, hanno, di fatto, caratterizzato intere epoche, aprendo la strada e cambiando non solo le culture, ma anche la civiltà stessa.
Basti pensare alla rivoluzione culturale, sociale ed economica che l’automobile popolare imprime al secondo dopoguerra. Nel 1959 circolavano in Italia circa 250.000 automobili, oggi, dopo “soli” 60 anni, ne circolano circa 39 milioni, e quasi 300 milioni in Europa, dove, l’industria automotive rappresenta circa il 7% del PIL europeo, costituendo di fatto uno fra i principali motori economici della locomotiva industriale europea.
Negli anni e per le generazioni che si sono susseguite, l’automobile diviene strumento di emancipazione, libertà, riscatto e crescita culturale ed economica di ciascuna famiglia, ed infine un vero e proprio status symbol dove il concetto intrinseco dell’esigenza di “muoversi e muovere” lascia il passo a confort, al marchio, all’identificazione dello stato sociale di ciascuno, concetto che già per le nuove generazioni inizia ad essere incrinato.
Sulla base dell’automobile sono state sviluppate le nostre infrastrutture, sono state costruite le nostre città, con l’esigenza sempre più pressante, vista la crescita esponenziale del numero di veicoli circolanti, di adattare alla macchina finanche i centri storici: bisognava portare ed accogliere quante più auto possibili verso il centro delle città, permettere all’automobilista di usare sempre di più e più facilmente l’auto per qualsiasi cosa, divenendo essa stessa il fulcro del pensiero urbanistico alla base di ogni progetto.
Le piazze diventavano parcheggi, le strade venivano concepite come parcheggi, i quartieri dovevano poter ospitare un numero sempre crescente di mezzi, magazzini e botteghe lasciavano spazio a garage, fino a concepire la rimozioni di alberi e verde che potevano creare pericolo per la circolazione ma addirittura fastidio per la sola resina che potesse cadere sull’auto ultimo modello, sempre più grande, sempre più confortevole, sempre più appariscente e, di conseguenza, impattante sull’ambiente.
Sono aumentate le auto in circolazione, è aumentata la cilindrata ed il peso medio, sono aumentate le dimensioni, le finiture e di certo confort e sicurezza, andando a modificare proprio in funzione dell’automobile lo stile di vita della popolazione, con una tendenza, ormai consolidata, che sembra certificare inesorabilmente la fine di quel modello anni 70/80 (tornano le Z.T.L. ormai ovunque, grandi investimenti in piste ciclabili e mobilità sostenibile, le auto vengono spinte fuori dai centri urbani!).
Le politiche ambientali degli ultimi decenni hanno certamente spinto i produttori a sviluppare mezzi sempre più “puliti”, dai consumi minori e soprattutto dalle emissioni minori, e le ultime tendenze, soprattutto europee, sembrano dare inizio ad una nuova era: l’auto elettrica.
La domanda, però, vien naturale: immaginiamo davvero di sostituire X milioni di vetture con lo stesso numero X di vetture elettriche? Può essere questa la strada immaginata per il futuro della mobilità?
Giacomo D’Annibale