L’Italia ha smarrito il senso civico, si è miseramente impoverita, ha perduto la centralità dell’uomo come principio guida delle proprie azioni. La costruzione della democrazia pagata a caro prezzo con due guerre mondiali, l’emanazione della Costituzione, fiore all’occhiello della nostra nazione nel mondo, principio guida di democrazia per numerosi stati, sembrano svanire sotto i colpi sferzanti del disinteresse, del menefreghismo e del pressappochismo.
Siamo un popolo assuefatto, disincantato, superficiale, poco avvezzo al rispetto delle regole ed all’esercizio del senso civico. L’italiano medio è approssimativo nel lavoro ed in qualsivoglia attività; è inesatto ed impreciso, leggero ed ha finito col vanificare i sacrifici profusi nel corso delle generazioni che hanno attraversato i due conflitti mondiali.
Un esempio eclatante per tutti: le morti sul lavoro. Un’ecatombe senza fine che miete ogni anno oltre mille decessi; una guerra civile silenziosa di cui, alla fine, passati lo sgomento e l’indignazione iniziale, nessuno si interessa.
Il mondo sindacale tutto si pone in prima fila nella denuncia del sistema incapace di garantire l’incolumità dei lavoratori ogni qualvolta si verifica un incidente sul lavoro che culmina in un decesso. E poi?
E le istituzioni preposte? La politica dei buoni propositi, dell’inasprimento delle norme, delle attività preventive, dell’azione sanzionatoria, della scommessa sulla formazione professionale si ferma al cospetto dei numeri impietosi di un popolo che ha smarrito la via del senso civico, del rispetto delle norme, dell’atteggiamento positivo volto ad assumere comportamenti doviziosi e corretti al fine di prevenire ogni possibile rischio di incidente sul lavoro. Che non è soltanto la corretta applicazione delle norme in materia di utilizzo dei dispositivi di protezione, delle procedure corrette. Si tratta dell’applicazione di un comportamento vocato al rispetto della vita, alla centralità dell’individuo che è un essere vivente al quale va riconosciuto e preservato il diritto alla vita.
Non serve a nulla il grido d’allarme se poi non si assume un atteggiamento rispettoso nei confronti della vita umana.
Se guardiamo ai numeri impietosi nel nostro Paese, il fenomeno assume i contorni di una vera e propria emergenza: nel solo mese di gennaio 2025 si contano già 60 vittime, segnando un incremento del 33,3% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. I dati dell’Osservatorio Sicurezza sul Lavoro e Ambiente Vega di Mestre rivelano che 46 decessi sono avvenuti durante le ore lavorative, mentre 14 si sono verificati in itinere, ovvero durante il tragitto casa-lavoro.
Sono 15 le vittime in più rispetto a gennaio 2024 ed a preoccupare è l’alta incidenza di mortalità tra i cinquantenni e sessantenni e il rischio più che doppio per i lavoratori stranieri.
E pensare che già il bilancio degli infortuni sul lavoro per il 2024 in Italia è risultato drammatico con 1.090 decessi e con un incremento del 4,7% rispetto ai 1.041 decessi registrati nel 2023.
Battersi il petto non serve a nulla: il popolo italiano ha perso la retta via, ha messo al centro del processo decisionale il profitto, l’utilità a danno del valore dell’uomo.
Papa Francesco ha parlato di impoverimento sociale con riferimento alle troppe morti sul lavoro. “Il fine sia la persona, non la produttività” ha ricordato in uno dei tanti appelli e ha rammentato che “nel mondo del lavoro, a volte, succede proprio così: si va avanti come se nulla fosse, devoti all’idolatria del mercato. Ma non possiamo abituarci agli incidenti sul lavoro, né rassegnarci all’indifferenza verso gli infortuni. Ogni morte sul lavoro è una sconfitta per l’intera società”.
La società italiana nella sua interezza ha perso, incapace com’è nel reagire, nel definirsi come società giusta e rispettosa del valore della vita.
Giuseppe Messina