La ferita resta aperta. Sono tanti, troppi gli italiani, detenuti presso le carceri di mezzo mondo, in attesa di un giudizio che tarda ad arrivare evidenziando in tutta la sua crudezza le condizioni disumane a cui, in tanti, sono sottoposti nel regime detentivo. Sono tante le recenti notizie di cronaca sull’argomento che hanno turbato la coscienza dell’opinione pubblica italiana. Circostanze che fanno emergere la debolezza italiana nell’affrontare le criticità legate al rispetto dei diritti umani per i nostri connazionali che si presume si siano macchiati di reati in un paese estero. Ne è un esempio il caso del connazionale Alberto Trentini, operatore umanitario detenuto in Venezuela dallo scorso 15 novembre e di cui non si hanno notizie dal giorno della sua carcerazione, lascia aperta la ferita sulle condizioni umanitarie di migliaia di connazionali detenuti in stati esteri e di cui non si conoscono, nella maggior parte dei casi, né le ragioni effettive della carcerazione né le condizioni della detenzione né, tantomeno, l’eventuale iter per la liberazione o per l’estradizione in Italia.
La famiglia del cooperante, dopo la recente liberazione della giornalista Cecilia Sala, ha tentato di riaccendere i riflettori sul caso, lanciando un appello al governo italiano per giungere alla liberazione del figlio, dimenticato – secondo quanto dichiarato dalla madre – dalle istituzioni dopo “sessanta giorni senza avere notizie”.
Le parole dei familiari del cooperante hanno smosso le coscienze e, proprio nelle scorse ore, a Palazzo Chigi si è tenuto un incontro al quale hanno preso parte il Ministro degli Affari Esteri, Antonio Tajani, il Ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, i vertici dell’Intelligence e il Capo della Polizia, Vittorio Pisani per tentare di imprimere una svolta alla vicenda.
Ma sono tante le storie che si intrecciano con i destini legati ai tanti paesi che detengono nelle proprie carceri nostri connazionali.
In questo momento oltre duemila cittadini italiani (2.069 per l’esattezza) sono detenuti in un paese straniero. Di questi, 1.471 sono incarcerati in paesi appartenenti all’Unione Europea, 231 in paesi europei che non fanno parte dell’Unione e 367 in paesi di altri continenti. 217 nelle Americhe, 24 nell’area del Mediterraneo e del Medioriente, 12 nei paesi dell’Africa subsahariana e 114 tra Asia e Oceania. La maggior parte, 713, è rinchiusa nelle carceri tedesche, seguono poi quelle francesi, spagnole e croate, con 230, 229 e 157. Fuori dall’Unione, i paesi con più detenuti italiani sono il Regno Unito con 126, la Svizzera con 73, il Brasile e gli Stati uniti con 33 e 31 e l’Australia con 27.
Questi dati statistici provengono dal censimento compiuto nel 2021 dal DGIT, il Dipartimento del Ministero degli Affari Esteri che si occupa degli italiani all’estero. Secondo uno studio più recente dell’OSAP, Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria, il numero complessivo di detenuti all’estero è salito a 2.663 nel 2024. Il numero dei detenuti è oggetto di continui mutamenti ma tutti – o quasi – sono legati dal medesimo destino: in attesa di giudizio per la liberazione e abbandonati nell’anonimato.
Guardando al recente passato, colpisce e scuote le coscienze la Terribile l’esperienza della madre di Daniele Franceschi, il giovane trentaseienne carpentiere di Viareggio (Lucca), rinvenuto esanime in una cella del carcere di Grasse il 25 agosto del 2010. A distanza di 15 anni, i familiari attendono ancora di conoscere la verità sul macabro espianto di organi dalla salma. Di questa vicenda, come di tantissime altre storie, non si conosce la verità. Oltre 2 mila e seicento persone prigioniere del silenzio sparse per il mondo e in balia delle disattente autorità italiane.
Finora i nostri connazionali detenuti all’estero sono stati Trattati come dei veri e propri “Conti di Montecristo” e la cosa peggiore è che la metà di questi detenuti è in attesa di giudizio in stati europei. Questo dato fa scalpore e lascia intendere che ci sia una falla nella diplomazia italiana che stenta nel dialogo con i partner comunitari o continentali. Siamo in Europa, siamo fondatori dell’Unione Europea. La Corte di giustizia delle Comunità europee (CGCE) nasce proprio a Roma il 25 marzo 1957 contemporaneamente all’istituzione della Comunità economica europea (CEE). Ed è inconcepibile pensare che i diritti umani possano essere violati proprio in quella istituzione europea che fonda la sua storia nei diritti e che invece li calpesta quando si tratta di detenuti italiani in attesa del giudizio che mai arriva.
Ed allora, ancor prima di affrontare il ragionamento spinoso sulle relazioni internazionali con paesi al margine della democrazia o autoritari, è giusto chiedersi: ma esiste qualcuno interessato alla sorte di questi connazionali prigionieri nelle carceri di stati membri dell’UE o comunque europei? Sono dei pesi per le nostre istituzioni? Se pensiamo che gli Stati Uniti oggi hanno circa 40 detenuti statunitensi all’estero rispetto agli oltre 2600 italiani, l’atteggiamento e la credibilità allora giocano un ruolo determinante sul destino dei nostri connazionali. Ed allora, si è portati a pensare che la scarsa influenza che negli anni ha esercitato l’Italia sul piano internazionale si è riversata anche sui destini dei nostri connazionali detenuti nel mondo.
Andrea Di Giuseppe, deputato di Fratelli d’Italia, eletto all’estero nella circoscrizione nord americana, che dedica il suo impegno da tanti anni a difesa degli italiani detenuti, ha commentato la vicenda dei tanti imprigionati all’estero.
“Quando hai credibilità come Paese, gli altri stati o ti temono o ti rispettano; in entrambi i casi va bene per garantire un trattamento umano verso i connazionali reclusi all’estero. Oggi la nostra credibilità sta faticosamente, rispetto al vuoto ereditato dal passato, ma velocemente grazie a Giorgia Meloni, risollevandosi. L’effetto positivo è che stanno cambiando gli equilibri nei rapporti internazionali. L’Italia viene vista in maniera diversa e tutto ciò fa ben sperare per la liberazione di tanti connazionali e per il rispetto dei diritti umani, al netto del fatto che ogni caso ha una storia a sé che incide sul destino”.
E’ fuori di dubbio che gli italiani che si recano all’estero per delinquere vanno assicurati alla giustizia e giudicati per tempo garantendo loro il rispetto dei diritti umani. Però, è altrettanto vero che c’è tanto ancora da fare per far luce sulla verità di tanti arresti, sul perché di giudizi mai conclusi e sulle condizioni carcerarie dei nostri connazionali detenuti nelle carceri in giro per il mondo. E questo implica una maggiore presenza dello Stato, una organizzazione delle strutture diplomatiche più efficiente, sostenuta dall’apparato di Intelligence ramificato e presente in ogni parte del mondo a sostegno degli italiani all’estero.
Giuseppe Messina