L’area mediterranea, come nel passato, si conferma centrale rispetto agli interessi globali.
Il Mediterraneo è, per l’Italia, un’area geografica sempre meno sicura, interessata da guerre regionali i cui effetti si avvertono sull’intero globo terrestre.
Al centro, un complesso reticolo di interessi geopolitici e geoeconomici planetari caratterizzati da una strisciante contrapposizione non solo militare e religiosa ma anche tecnologica che si misura a suon di quattrini investiti per l’egemonia su materie prime e fonti energetiche.
Il Mediterraneo ha assunto, oramai da anni, la forma di un labirinto per effetto di scelte unilaterali che hanno tracciato nuovi confini marittimi, delimitando ampi tratti di mare. Il Merditerraneo fa gola per tantissime ragioni strategiche: il controllo delle rotte migratorie, i traffici commerciali, lo sfruttamento delle risorse energetiche, gli investimenti strutturali digitali, la pesca professionale. In poche parole, l’influenza geopolitica si misura governando ampie aree africane e mediorientali per accaparrarsi materie prime a terra e risorse energetiche in mare. E non solo: la rotta europea dei traffici illeciti di migranti ha spinto molti stati ad avviare politiche espansive nel Mediterraneo in contrasto con i nostri interessi nazionali.
Il mar Mediterraneo, dopo il disimpegno statunitense, è ormai caduto nelle mani di Turchia, Cina e Russia; paesi che non possiamo assolutamente definire partner storici dell’Italia, caratterizzate da una catena di comando che non possiamo definire improntata su principi democratici. Le istituzioni italiane, la politica tutta in verità, si è fatta trovare, negli anni scorsi, distratta e fors’anche impreparata a difendere gli interessi del popolo italiano.
Il ruolo internazionale dell’Italia, il peso economico e geopolitico a casa nostra, nel Mediterraneo, è stato inspiegabilmente tralasciato, vanificando la storica influenza che ha prodotto nel passato indubbi benefici per il sistema paese. Ed è un paradosso sul quale è necessario porsi degli interrogativi. Cominciando col dire che l’Italia è una piattaforma strategica all’interno del Mediterraneo e che quest’ultimo è sempre più fondamentale nell’ambito del commercio globale, essendo una strettoia che collega l’oceano Pacifico e l’oceano Indiano con l’oceano Atlantico. Considerando che l’80/90% delle merci circola per mare, la posizione geografica dell’Italia è di per sé strategica. L’autostrada digitale che collega America, Asia ed Europa passa dall’Italia con l’infrastruttura dei cavi internet sottomarini. Sono le arterie di Internet nelle quali scorrono i dati sensibili di milioni di cittadini. Poter osservare, controllare e alterare quei flussi sarebbe una ricchezza enorme per lo spionaggio, e, dunque, per gli interessi strategici di qualsiasi Paese. Un’interruzione per ragioni diverse, un incidente, un sabotaggio potrebbe isolare dal punto di vista digitale non solo uno stato, ma un’intera regione. Siamo, quindi, di fronte ad un tema di sicurezza nazionale, dato che la nostra penisola riveste il ruolo di hub strategico per le interconnessioni digitali. Così come lo è l’approvvigionamento energetico per il Vecchio Continente che passa per il territorio italiano, dopo la crisi energetica mondiale provocata dal conflitto russo-ucraino.
A sostegno dell’affermazione fatta prima, secondo la quale il nostro paese non è stato in grado di affrontare le nuove sfide geopolitiche, citiamo il caso dell’istituzione della zona economica esclusiva italiana (ZEE), strumento emanato dal diritto internazionale riconosciuto per regolamentare i confini marittimi.
Immersa quasi completamente nel mare, circondata da un’estesa e articolata fascia costiera di circa 7.500 km, l’Italia sembra andare ormai alla deriva tra le ZEE proclamate dagli Stati confinanti. Nonostante avesse ratificato la Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare con la legge del 2 dicembre 1994, n. 689, soltanto dopo quasi trent’anni il parlamento ha approvato l’istituzione della ZEE, come legge 14 giugno 2021, n.14 dimenticando di completare l’iter con la proclamazione che deve avvenire “con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale”. Tale decisione ha dei risvolti estremamente rilevanti per gli interessi del paese, che ha subìto inerme i nuovi confini oltre le 12 miglia tracciate unilateralmente da quasi tutti i paesi che si affacciano nel bacino mediterraneoi.
Secondo il diritto internazionale, la ZEE attribuisce allo Stato costiero diritti sovrani relativi allo sfruttamento e alla gestione delle risorse, biologiche e non, che si trovano nelle acque sovrastanti il fondo del mare, sul fondo del mare e nel relativo sottosuolo, ma anche diritti connessi ad altre attività di sfruttamento economico della zona, quali la produzione di energia derivata dall’acqua, dalle correnti e dai venti, e di esplorazione. nonché la giurisdizione in materia di installazione e utilizzazione di isole artificiali, impianti e strutture, ricerca scientifica marina, protezione e preservazione dell’ambiente marino.
L’estensione della ZEE italiana dovrà tenere conto del fatto che il Mar Mediterraneo non permette a tutti gli Stati costieri pertinenti di estendere i confini fino al limite delle 200 miglia marine, dato che l’estensione massima non supera mai i 400 chilometri tra le coste. Sarà dunque necessario concludere accordi con gli Stati costieri confinanti o rivieraschi al fine di delimitare le rispettive zone di competenza marittima. Ma serve il via libera dal Capo dello Stato. Nei mesi scorsi, rispondendo ad un atto di interpello della senatrice renziana, Dafne Musolino, il sottosegretario di Stato per il ministero degli Affari Esteri Giorgio Silli aveva fornito affermazioni generiche circa una parziale istituzione della ZEE entro la fine del 2024, che ovviamente non è arrivata, lasciando tutto in una situazione di stallo.
La centralità delle politiche del mare dell’esecutivo di centrodestra, anche attraverso gli interventi economici previsti dal Piano Mattei e l’adozione dello strumento di programmazione triennale (Piano del Mare), si scontra di fatto, al di là dei proclami e delle parole di circostanza, con l’inerzia in merito alla difesa dei confini marittimi, alla sicurezza nazionale e agli interessi economici nel Mediterraneo. Senza la proclamazione della legge istitutiva della zee non sarà possibile avviare l’azione diplomatica per definire corretti confini marittimi con i paesi frontalieri. A soffrirne anche l’economia che ruota intorno alla pesca professionale. Le imbarcazioni da pesca operano in un Mediterraneo parcellizzato, obbligate a fare la gimkana per evitare il sequestro del natante o peggio ancora subire aggressioni con veri e propri atti di guerra. La zee è lo strumento per fare chiarezza nel tratto di mare oltre le 12 miglia delle acque territoriali. Adesso la parola al governo nazionale.
Giuseppe Messina