Dall’8 marzo scorso Stefano Conti è un uomo libero: è stato assolto da un gravissimo reato contro la persona, tratta di esseri umani a scopo sessuale. La conclusione del processo a Panama è che il fatto non sussiste, ma Conti rischiava una condanna fino a trent’anni di reclusione. Tutto ciò nonostante la ritrattazione da parte delle presunte vittime che hanno sostenuto di aver subito pressioni dalla polizia panamense. Conti stesso ha sempre negato qualsiasi coinvolgimento. Per tali accuse era stato arrestato il 15 agosto 2022 ed ha trascorso ben 423 giorni nel carcere di massima sicurezza di La Joya a Panama in attesa di un giudizio che sembrava non arrivare mai. Uno dei tantissimi casi di connazionali detenuti all’estero in aperta violazione del rispetto dei diritti umani e della dignità dell’essere umano. L’assicuratore brianzolo, cresciuto a Cesano Maderno, ma residente a Panama da sei anni, dove si fa una posizione come trader (compra e vende azioni e merci), non potrà tornare in Italia. Almeno per i prossimi trenta giorni. Dovrà permanere ancora a Panama fino a quando non entrerà in possesso del passaporto per lasciare il paese centro americano. E non è detto. La procura di Panama pare intenta a presentare appello negandogli così la possibilità di espatrio. I funzionari della Farnesina restino all’erta perchè il caso dell’italiano innocente costretto a oltre 400 giorni di durissima prigionia, in una struttura detentiva totalmente fuori controllo, non è ancora chiuso. Andrea Di Giuseppe, il parlamentare di Fratelli d’Italia eletto nella Circoscrizione Centro e Nord America, ha espresso soddisfazione per il risultato raggiunto dopo oltre due anni: «Ha passato oltre 400 giorni in una delle peggiori galere del mondo, un luogo che non si riesce neanche a immaginare, e senza nessuna condanna, ma solo per una carcerazione preventiva in attesa di un processo che sembrava non arrivare mai. L’anno scorso siamo riusciti a fargli avere i domiciliari, oggi la notizia più bella. Una grande vittoria per il nostro Paese». Tante sono le storie simili a questa, con connazionali detenuti in paesi nei quali le condizioni carcerarie sono inumane perché, all’interno degli istituti penitenziari vengono ignorate le più elementari regole, in barba ai diritti umani. Emblematico resta il caso di Alberto Trentini, il cooperante veneziano 45enne arrestato in Venezuela il 15 novembre scorso e di cui non si hanno notizie da oltre cento giorni. Una storia che lascia aperta la ferita sulle condizioni umanitarie di migliaia di connazionali detenuti in stati esteri e di cui non si conoscono, nella maggior parte dei casi, né le ragioni effettive della carcerazione né le condizioni della detenzione né, tantomeno, l’eventuale iter per la liberazione o per l’estradizione in Italia. In questo momento oltre duemila cittadini italiani (2.069 per l’esattezza) stanno scontando una pena in un carcere di un paese straniero. Di questi, 1.471 sono incarcerati in paesi appartenenti all’Unione Europea, 231 in paesi europei che non fanno parte dell’Unione e 367 in paesi di altri continenti. 217 nelle Americhe, 24 nell’area del Mediterraneo e del Medioriente, 12 nei paesi dell’Africa subsahariana e 114 tra Asia e Oceania. La maggior parte, 713, è rinchiusa nelle carceri tedesche, seguono poi quelle francesi, spagnole e croate, con 230, 229 e 157. Fuori dall’Unione, i paesi con più detenuti italiani sono il Regno Unito con 126, la Svizzera con 73, il Brasile e gli Stati uniti con 33 e 31 e l’Australia con 27. Questi dati statistici provengono dal censimento compiuto nel 2021 dal DGIT, il Dipartimento del Ministero degli Affari Esteri che si occupa degli italiani all’estero. Secondo uno studio più recente dell’OSAP, Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria, il numero complessivo di detenuti all’estero è salito a 2.663 nel 2024. Il numero dei detenuti è oggetto di continui mutamenti ma tutti – o quasi – sono legati dal medesimo destino: in attesa di giudizio per la liberazione e abbandonati nell’anonimato. L’aspetto peggiore nelle storie dei nostri connazionali detenuti all’estero è che la metà di essi è in attesa di giudizio in stati europei. Questo dato lascia spazio ad una riflessione sul tema, perché non ci si può trincerare dietro relazioni instabili con paesi dove la democrazia non alberga ed eternamente in conflitto e con oggettive difficoltà a relazionarsi. Siamo in Europa, siamo fondatori dell’Unione Europea ed è inconcepibile pensare che i diritti umani possano essere totalmente ignorati. Ed allora, ancor prima di addentrarsi nel ragionamento spinoso sulle relazioni internazionali con paesi al margine della democrazia, è giusto chiedersi se a qualcuno importi veramente della sorte di questi connazionali prigionieri nelle carceri di stati membri dell’UE o comunque europei. Sono dei pesi per le nostre istituzioni? Se pensiamo che gli Stati Uniti oggi hanno circa 40 detenuti statunitensi all’estero rispetto agli oltre 2600 italiani, l’atteggiamento e la credibilità allora giocano un ruolo determinante sul destino dei nostri connazionali. Si è naturalmente portati a pensare che la scarsa influenza che negli anni ha esercitato l’Italia si è riversata anche sui destini dei nostri connazionali detenuti nel mondo e nei paesi membri dell’Unione Europea. Tornando al deputato Di Giuseppe, che dedica il suo impegno da tanti anni a difesa degli italiani detenuti, lo stesso ha avuto modo di commentare la vicenda dei tanti reclusi all’estero. “Quando hai credibilità come Paese gli altri stati o ti temono o ti rispettato, in entrambi i casi va bene per garantire un trattamento umano verso i connazionali imprigionati all’estero. Oggi la nostra credibilità sta faticosamente risollevandosi rispetto al vuoto ereditato dal passato. L’effetto positivo è che stanno cambiando gli equilibri nei rapporti internazionali, l’Italia viene vista in maniera diversa e tutto ciò fa ben sperare per la liberazione di tanti connazionali e per il rispetto dei diritti umani, al netto del fatto che ogni caso ha una storia a sé che incide sul destino”. C’è tanto da lavorare per far luce sulle verità che riguardano tale argomento, sul perché di giudizi che tardano ad arrivare e delle condizioni carcerarie che violano i diritti umani universalmente garantiti. Resta sotto pressione la rete diplomatica italiana impegnata a rimuovere ostacoli di ogni genere in tutti i paesi che detengono i nostri connazionali in attesa di giudizio, per giungere all’epilogo in tempi ragionevoli e rispettosi della dignità umana. Aspetto che non è sempre facile far rispettare.
Giuseppe Messina