La strada, quindi, per l’automobile del futuro sembra ormai segnata dalle scelte politiche in favore dell’auto
elettrica. Una scelta forte che nasconde un nuovo passo nel mondo globalizzato, il decentramento
dell’industria automotive verso la Cina (si, anche in questo caso!) che, nel settore delle batterie e su questa
visione, si candida ad essere nei prossimi anni leader indiscusso su scala planetaria.
Se certamente, da un punto di vista squisitamente ambientale, la carbon footprint, l’impatto ambientale
nel suo senso più ampio, di una vettura elettrica è minore delle auto termiche, principalmente per
l’efficienza del vettore energetico, studi approfonditi dimostrano comunque che l’impronta carbonica in
realtà dipende molto non tanto dalle modalità di ricarica dei veicoli (certamente il prelievo di energia da
fonti rinnovabili abbatte notevolmente le emissioni rispetto ai mix tradizionali) ma soprattutto dai costi di
estrazione dei materiali primari e proprio dal mix energetico del paese che produce l’auto (basti pensare
che un veicolo prodotto in Europa ha un’impronta di un terzo inferiore rispetto allo stesso modello
prodotto in Cina).
Così come a seconda del modello e del segmento della vettura, l’impatto ambientale varia in maniera
profonda, a conferma del fatto che la vera rivoluzione starà nel cambio di paradigma culturale su come
siamo stati abituati ad intendere l’auto.
La strada di certo è ancora molto lunga per una trasformazione completa ed è legata essenzialmente allo
sviluppo delle reti di distribuzione capillari dell’energia e soprattutto alla tecnologia di accumulo che,
ancora oggi, non è all’altezza della sfida che il pianeta deve affrontare.
La vera rivoluzione, che forse non vediamo ancora, starà quindi nel cambio culturale nei confronti della
mobilità. Muoversi in città con un SUV per fare qualche chilometro diverrà inconcepibile; siamo in grado di
capire facilmente, solo riflettendoci, di quanta energia sprechiamo per ogni km percorso muovendoci con
un’auto da 2 tonnellate rispetto ad un mezzo pubblico o ad una bici o monopattino che sia: il risultato è lo
stesso, solo rinunciando allo status symbol! Quanto impatto c’è su strade, terreno, qualità dell’aria e della
vita rispetto, ad esempio, ad una mobilità “dolce”, a parità di esigenza e soluzione del cittadino.
Guardando quindi in maniera più ampia, osservando le scelte politiche in termini di produzione industriale
e servizi finanziari, possiamo immaginare che la rivoluzione del terzo millennio punterà ad intendere
l’automobile non più come “bene di proprietà” ma come servizio: il “business” non starà più nella
produzione e nella vendita delle automobili, ma più probabilmente nelle offerte di servizi di mobilità su
larga scala.
In quest’ottica, allora, le scelte politiche dell’Europa, a prima vista scellerate, sembrano assumere un altro
rilievo, in quanto si iniziano ad immaginare molte meno vetture circolanti (più che altro, spesso,
parcheggiate come un pessimo investimento, anche finanziario), ed offerte di servizi di mobilità quali il car
sharing, i noleggi, l’uso a consumo, un incremento dei servizi di mobilità pubblica, anche grazie alle
tecnologie di guida autonoma che non sono più il futuro, ma assolutamente il presente.
L’esigenza di spostarsi, anche comodamente, dal un punto A ad un punto B potrà essere soddisfatta tramite
un’APP con cui richiedere una mini navetta, una sorta di taxi od un uber, a guida autonoma ed elettrica, in
grande sicurezza e semplicità sarà soddisfatta; un servizio di car sharing, bike sharing, un mezzo pubblico o
semplicemente un servizio di noleggio potrà garantirci il confort e la libertà che quel mezzo a quattro ruote
ha garantito nel secolo scorso, scegliendo il segmento, il modello, la tariffa più congeniale senza avere più
un capitale immobilizzato da parcheggiare disperatamente sotto casa; le città del futuro cambieranno il loro
volto, togliendo le auto dai nostri panorami e dalle nostre strade.
Vi sembra davvero il futuro? Forse è già il presente!
Giacomo D’Annibale